venerdì 15 agosto 2008

Scuse sincere e ringraziamenti sentiti

.
.
"Poichè la persona narcisista tenta di edificare un senso di sè positivo sull'illusione di non avere nè difetti nè bisogni, teme che l'ammissione di un senso di colpa o di dipendenza tradisca qualcosa di vergognosamente inaccettabile. Scuse sincere e ringraziamenti sentiti saranno quindi rigorosamente evitati o gravemente compromessi nella persona narcisista, con grande impoverimento delle loro relazioni con gli altri."
Nancy Mc Williams : "La diagnosi psicoanalitica", Astrolabio Ubaldini ,1999 su : Labugiapiugrande
.
.
.

"La vita è sempre oggi e oggi abbiamo bisogno del nostro dolore per fare amicizia con noi stessi, per fare pace con le nostre mancanze e per superare il nostro antico senso di mancanza.

Molte persone credono di aver bisogno di libertà quando sono già libere e rinviano il loro impegno personale nella vita negando che vorrebbero amore e non “libertà” e ignorando il fatto che nella vita adulta l’amore che si riceve non può soddisfare il bisogno non soddisfatto nell’infanzia.
Molte persone sentono di “dover fare” tante cose senza però arrivare mai a capire cosa vogliono davvero fare e cosa possono davvero fare. Continuano a fare “qualcosa” senza impegnarsi a costruire una buona vita, giorno per giorno.
Molte persone passano la vita a convincersi di “essere state ferite” e a “sentirsi ferite” e a “reagire” a tali “ingiustizie”. Chiudono il cuore, la mente e magari anche i genitali pur di non cedere, pur di non dire “mi dispiace” e tornare liberi di dire “grazie”.
In genere le persone non vogliono accettare una cosa semplicissima, cioè che la loro vita è fatta soprattutto di tanti “grazie” e di tanti “mi dispiace”.
Il percorso analitico non cura nessuna malattia, ma aiuta solo a volersi bene, a voler bene e a rinunciare alle pretese e alle illusioni. Aiuta a dire “grazie” e “mi dispiace”. "

G. Ravaglia : "Come farsi del male per non dire semplicemente “grazie” o “mi dispiace” su http://risorse-psicoterapia.org/Gr.md.htm

martedì 12 agosto 2008

La maschera

.

Il gioco della maschera

La maschera nasce per mostrarmi all’altro,
nel mondo sociale.
La maschera mi nasconde all’altro, non solo,
ancor più a me stesso.

Che gioco è questo?

Perdere la faccia è l’ultima cosa che vorrei,
nei rapporti sociali.
Ritrovare me stesso è un labirinto senza fine,
se mi chiudo in me stesso.

La maschera non può abbandonare la maschera:
un gioco infernale.
La maschera ora sa di essere maschera:
una strana meraviglia.

venerdì 1 agosto 2008

Terzo senso

.
Terzo senso

E’ facile trovare un doppio o triplo senso nelle parole.
Questa scoperta può avvenire in modo tragico , quando ci rendiamo conto, troppo tardi, di non aver soppesato bene il senso ambiguo di quelle parole che ci sembravano una promessa, un’occasione, un buon contratto, una certezza…
Questa scoperta può avvenire in modo creativo, quando ri-scopriamo, ancora una volta, un senso ulteriore, più profondo nel testo poetico che ora a noi, nuovamente, si rivela…
Due contesti molto diversi.
Eppure entrambi sembrano inserirsi entro la cornice linguistica di significato.


5.6 I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo.
Ludwig Wittgenstein

Cosa succede quando si giunge “al limite del mio mondo” ?

La risposta di Wittgenstein è questa:

[6.52] Noi sentiamo che, anche una volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto risposta, i nostri problemi non sono ancora neppur toccati. Certo allora non resta più domanda alcuna; e appunto questa è la risposta.

[6.521] La risoluzione del problema della vita si scorge allo sparir di esso. (Non è forse per questo che uomini cui il senso della vita divenne, dopo lunghi dubbi, chiaro, non seppero poi dire in che consisteva questo senso?)
[6.522] V’è davvero dell’ineffabile. Esso mostra sé, è il mistico.

Egli “sente”, e sente così fortemente da dire “noi sentiamo”, che vi è un “terzo senso” oltre e precedente il mondo linguistico di significato.
E’ questo “terzo senso”, esterno ai “problemi” umani e pertanto ineffabile, che fornisce “la risoluzione del problema della vita”.
La risoluzione “si scorge “ quando scompare il problema; perché essa è fuori dai limiti del mio mondo.
.
.
Lucida follia

Il Macbeth di Shakespeare, nel celebre passo (atto V, scena V) di “lucida follia” scorge il limite:
“Spegniti, spegniti, breve candela! La vita non è altro che un'ombra che cammina; un mediocre attore che si pavoneggia e si dimena sul palcoscenico per il tempo della sua parte e poi non si ode più oltre. È una favola narrata da un idiota, piena di strepito e furia e senza significato alcuno.”
Tuttavia la maschera del potere, rinchiusa nel proprio castello, sente un vuoto, sente di non poter permettersi, non si permette, un diverso sentire .
Non si lascia andare al naturale dolore della perdita di Lady Macbeth :
“Avrebbe dovuto morire più tardi; non sarebbe mancato il momento opportuno per udire una simile parola. Domani, poi domani, poi domani: così, da un giorno all'altro, a piccoli passi, ogni domani striscia via fino all'ultima sillaba del tempo prescritto; e tutti i nostri ieri hanno rischiarato, a degli stolti, la via che conduce alla polvere della morte.”
La lucida follia di Macbeth “deve” mantenere un senso anche di fronte alla perdita totale di senso.
La chiusura tragica non consente altra possibilità: anche la natura, indifferente alle vicende umane, sembra animarsi come macchina bellica e stringere d’assedio il castello.
Il “terzo senso” è stato reciso dalla tragica maschera di potere .
Fino all’ultimo, Macbeth, rifiuta di “sentire” ciò che la maschera non può sentire, un altro senso, estraneo perché totalmente fuori dal suo castello.
MACBETH: Maledetta la lingua che mi dice questo, poiché essa ha fiaccato quanto di meglio v'era d'uomo in me! E non si creda più a questi dèmoni impostori, che ci ingannano con discorsi a doppio senso:
che mantengono all'orecchio nostro la loro promessa, e poi la rompono alla nostra speranza... Io non mi batterò con te.
MACDUFF: Allora arrenditi, codardo, e vivi per essere lo spettacolo e la meraviglia di questa età: attaccheremo il tuo ritratto in cima ad un palo, come si fa dei nostri più rari esseri mostruosi, e sotto ci scriveremo: "Qui potete vedere il tiranno".
MACBETH: Io non mi arrenderò, per baciare la terra ai piedi del giovane Malcolm, e per esser maltrattato dalle imprecazioni della marmaglia. Sebbene il bosco di Birnam sia venuto a Dunsinane, e mi sia di fronte tu, che non sei stato partorito da una donna, pure io tenterò l'ultima prova; io protendo dinanzi a me il mio scudo di guerra: avanti, Macduff, e sia dannato colui, che per il primo grida:
"Fermo, basta!".

.
Connessione di base

L’espressione “senso di vuoto” presuppone “un pieno”.
Questo pieno è nel mondo categoriale, nel “mio mondo”, come detto da Wittgenstein.
L’angoscia sottesa nel dramma o nelle tragedie che cercano di affrontare questo “senso di vuoto” viene chiamata “indicibile” in quanto rimanda a qualcosa che è fuori dal “mio mondo”.
La domanda si ripete ed il dramma segue il suo corso perché il tentativo di colmare la “percezione di dis-connessione” , oscura il senso più profondo di questa percezione, di questo ”tornare sul luogo del delitto”, di questa tragedia che si estende, di questa pagliacciata che si ripete…
Una percezione si è chiusa. L’espressione “senso di vuoto” indica e naconde questa chiusura.
Crisi significa separazione.
Crisi significa crescita.

"Nulla v'è di così insensibile, brutale o scatenato dalla rabbia che la musica, finché se ne prolunghi l'eco, non trasormi nella sua stessa natura. Colui che non può contare su alcuna musica dentro di sé, e non si lascia intenerire dall'armonia concorde di suoni dolcemente modulati, è pronto al tradimento, agli inganni e alla rapina: i moti dell'animo suo sono oscuri come la notte, e i suoi affetti tenebrosi come l'Erebo.
Nessuno fidi mai in un uomo simile. "
William Shakespeare Il mercante di Venezia, Atto V, scena I

venerdì 18 luglio 2008

"Avere attenzione"

.
"Avere attenzione" si può declinare in due modi:

.

"Avere attenzione": avere cura; avere interesse;avere a cuore;avere simpatia/sintonia....


Questo 'avere' è in effetti un 'dare'.


Con l'attenzione l'essere si protende verso l'altro, il mondo.

.

.
"Avere attenzione": richiedere che l'altro, l'intero mondo "gli presti" la sua attenzione.


Qui in effetti non c'è un "avere" ma piuttosto un buco da colmare.


Una pretesa maschera l'essere.

Conclusione: E' logico che chi "non ha attenzione", dica che "vuole avere attenzione"; ma spesso non sa quel che dice.

.

mercoledì 16 luglio 2008

Spettatori o Testimoni?

Una ricerca sull'intreccio, ma anche sulla differenza, fra spettatore e testimone trovo in un interessante articolo di Beppe Sebaste dal titolo "Siamo tutti testimoni".
Per sottolineare la sottile ma radicale differenza fra queste due figure sarebbe stato opportuno, forse, aggiungere, nel titolo, un bel punto interrogativo :"Siamo tutti testimoni ?"

L'articolo, apparso sull'Unità l'11 aprile 2005, inizia parlando del pellegrinaggio a San Pietro per i funerali del papa e così conclude:

"Ora, il ritorno oggi prepotente del bisogno di testimoniare di persona, da cosa dipende se lo spazio della testimonianza risulta del tutto saturo dai grandi racconti televisivi, se tutti siamo al corrente di tutto in presa diretta? Cosa indicano insomma i pellegrini di San Pietro? Quel desiderio di presenza, di essere testimoni, rileva del desiderio di riscattare la propria vita individuale dai grandi racconti che sommergono le nostre vite ordinarie, di strappare uno spazio personale di racconto al fluire passivo e omogeneo delle nostre vite di spettatori, così povere di esperienze. L’ultimo paradosso della testimonianza è dunque il seguente: è per sottrarsi alla testimonianza unica, all’iperrealtà dell’omologazione televisiva, che migliaia di “testimoni” volontari si sono messi in moto e hanno fatto l’evento, dando spettacolo loro malgrado. Semplicemente per esserci, fisicamente, live, in prima persona. Perché saturi dello spettacolo della “vita in diretta” alla Tv, dell’omogeneizzazione del mondo quotidianamente offerta, e anche più volte al giorno, che annulla e dissolve ogni memoria nell’eterno presente che avviene sotto i nostri occhi. E’ per protestare sommessamente a questa perdita che una massa di individui ha scelto di ricorrere alla propria memoria personale, diventando testimoni per eccellenza: coloro che trasmettono narrativamente un avvenimento, in una catena di testimonianze. Se testimoniare significa creare l’evento, l’analisi delle testimonianze e della loro narratività è la chiave per comprendere la logica di ciò che accade, una logica suscettibile di scavare e resistere anche alla globalizzazione: raccontare storie. Essere testimoni, raccontare gli eventi, significa praticare la “politica”, l’unica divinazione possibile, quella che già nel Settecento si chiamava “divinazione del presente”.
Beppe Sebaste dotcom

lunedì 14 luglio 2008

Lo spazio e il dovere dello scrittore (N. Gordimer)

"Dovere, compito, significato. Per attribuirli credo che dobbiamo innanzitutto definire che cosa sia la testimonianza. Non è semplice. Ho preso il dizionario e ho visto che le definizioni riempiono più di una colonna a caratteri minuti. Testimonianza: "Attestazione di un fatto avvenimento o dichiarazione, dimostrazione, prova. Testimone: "Persona che assiste a un fatto ed è in grado di attestarlo in base alla sua personale osservazione".

Poesia e romanzi sono processi cui lo status di testimonianza è attribuito dal dizionario Oxford riferendolo alla "testimonianza interiore" , le vite di singoli uomini, donne e bambini che devono ricomporre dentro di loro le certezze frantumate, vittime anch'esse, al pari dei corpi sotto le macerie di New York e dei morti in Afghanistan. Kafka dice che lo scrittore vede tra le rovine "altre (e più )cose ... è uscire d'un balzo dalla fila degli assassini, è vedere quello che avviene veramente".

Il dualismo di interiorità e mondo esterno, è questa l'unica essenziale condizione esistenziale dello scrittore come testimone.
..

Flaubert scrive a Turgenev: "Ho sempre cercato di vivere in una torre d'avorio, ma una marea di merda sta premendo alle sue mura e minaccia di distruggerne le fondamenta".
..
la grandezza della testimonianza interiore di Conrad scopre che il "cuore di tenebra" non è la postazione senso, quello dell'immaginazione. Il "realizzare" ciò che sta accadendo viene da quella che sembra una negazione della realtà, il passaggio degli avvenimenti, dei motivi, delle emozioni, delle reazioni, dall'immediatezza a quel senso stabile che è il significato. Se accettiamo che la "contemporaneità" abbraccia il secolo in cui noi tutti siamo nati, al pari di quello appena iniziato in modo così crudo, arriviamo a molti esempi di questa quarta dimensione di esperienza che è lo spazio e il dovere dello scrittore .
..
Non c'è torre d'avorio che possa sostenere l'assalto della realtà che preme alle mura, come notava sgomento Flaubert. Nel testimoniarla la fantasia non è irreale ma rappresenta la realtà più profonda. L'esigenza di questa realtà profonda non potrà mai consentire il compromesso con la saggezza della cultura convenzionale e ciò che Milosz chiama le bugie ufficiali. Quell'eminente intellettuale del rifiuto del compromesso, Edward Said, si chiede chi, se non lo scrittore, debba "svelare e chiarire i contesti, la sfida e la speranza di sconfiggere il silenzio imposto e la quiete normalizzata del potere". L'ultima parola sulla letteratura di testimonianza viene di sicuro da Camus: "Il momento in cui non sarò nulla più che uno scrittore, potrò smettere di essere uno scrittore".


di Nadine Gordimer


(Pubblicato su La Repubblica nel 17 agosto 2002 - Traduzione di Emilia Benghi)

venerdì 11 luglio 2008

L'attore, lo spettatore, il testimone

"Un giorno (era più o meno il 1963) abbiamo detto di no a tutto questo. La partecipazione attiva degli spettatori non è possibile in queste condizioni…
se cerchiamo la partecipazione attiva degli spettatori siamo condannati o a violarli, a opprimerli, oppure gli spettatori stessi sono ben contenti di recitare come clown…
In quel momento credo che tutti gli spettatori hanno partecipato direttamente ...

quello che hanno voluto fare è essere testimoni, non dimenticare nessun particolare, per poter dare la loro
testimonianza.
Questa presenza è stata veramente totale… "
Jerzy Grotowski, Il teatro è una tigre che ci assale, brani raccolti da Franco Quadri, in "Sipario", n. 284, 1969, p. 17 su http://www.elfland.it/
.
.
.

L’attore, agendo, è nel presente
ma, se occupa tutta la scena,
inebriato di protagonismo,
vive la maschera della vita.

Lo spettatore, guardando, è fuori
e partecipando dall’esterno ai tempi della vita,
ripercorre il dramma della maschera
di essere presente essendo altrove.

Il testimone, totalmente presente,
con consapevolezza che amplia la scena,
oltre il dramma dell’attore,
oltre lo schermo dello spettatore,
nel vivente vede, testimone, sé stesso.
.
.
.

giovedì 29 maggio 2008

L'ospite inquietante (U.Galimberti)

“È stato loro insegnato tutto, ma non come mettere in contatto il cuore con la mente, e la mente con il comportamento, e il comportamento con il riverbero emotivo che gli eventi del mondo incidono nel loro cuore. Queste connessioni che fanno di un uomo un uomo non si sono costituite, e perciò nascono biografie capaci di gesti tra loro a tal punto slegati da non essere percepiti neppure come propri. E questo perché il cuore non è in sintonia con il pensiero e il pensiero con il comportamento, perché è fallita la comunicazione emotiva, e quindi la formazione del cuore come organo che, prima di ragionare, ci fa sentire che cosa è giusto e che cosa non è giusto, chi sono io e che ci faccio al mondo. (p. 53)

L'eccesso emozionale e la mancanza del raffreddamento riflessivo portano sostanzialmente a quattro possibili esiti: 1) lo stordimento dell'apparato emotivo attraverso quelle pratiche rituali che sono le notti in discoteca o i percorsi della droga; 2) il disinteresse per tutto, messo in atto per assopire le emozioni attraverso i percorsi dell'ignavia e della non partecipazione che portano all'atteggiamento opaco dell'indifferenza; 3) il gesto violento, quando non omicida, per scaricare le emozioni e per ottenere un'overdose che superi il livello di assuefazione come nella droga; 4) la genialità creativa, se il carico emotivo è corredato da buone autodiscipline.” (pp. 41-42)

Oggi l'educazione emotiva è lasciata al caso e tutti gli studi e le statistiche concordano nel segnalare la tendenza, nell'attuale generazione, ad avere un maggior numero di problemi emotivi rispetto a quelle precedenti. E questo perché oggi i giovanissimi sono più soli e più depressi, più rabbiosi e ribelli, più nervosi e impulsivi, più aggressivi e quindi impreparati alla vita, perché privi di quegli strumenti emotivi indispensabili per dare avvio a quei comportamenti quali l'autoconsapevolezza, l'auto-controllo, l'empatia, senza i quali saranno sì capaci di parlare, ma non di ascoltare, di risolvere i conflitti, di cooperare... p. 48)

Umberto Galimberti L'ospite inquietante Rizzoli, Milano 2007

martedì 27 maggio 2008

anima; senz'anima

“Parlare di anima è una cosa ambigua. Nessuno sa cosa sia e molti mettono in discussione la sua esistenza.
Secondo me è la qualità dell’essere.
Una persona che non percepisce di essere un particolare di uno schema più vasto, come non ‘sente’ che l’esistenza individuale fa parte di un processo più grande dell’individuo stesso, può essere considerata una persona senza anima.
L’anima di un uomo è ciò che lo unisce al passato e lo mette in rapporto con tutti gli esseri viventi.
E’ la base della sua identificazione con i fenomeni cosmici e la fonte del sentimento oceanico di unità con il cosmo.
Se ha l’anima, un uomo riesce ad oltrepassare i ristretti confini del sé e a sperimentare la gioia e l’estasi di essere uno con l’universo.
Se non ha l’anima, è chiuso nella prigione della sua mente e i suoi piaceri si limitano alle soddisfazioni egoiche.”

Alexander Lowen :Il Piacere – Un approccio creativo alla vita, Astrolabio, 1984, pag.100

lunedì 19 maggio 2008

Meditazione come "non fare"

Nell'età dell'innocenza
spontanei movimenti di intelligenza
generano il pensiero
che, con fine attento, presto fa
monopolio dell'intelligenza.

Tornando con pazienza
all'innocente respiro
scomparirà anche il fine di medita-azione;
ora rinasce originaria
la consapevole intelligenza

sabato 17 maggio 2008

Consapevolezza e Responsabilità

La ‘pazzia’ è come una bolla;
ci entri dentro senza saperlo
e poi ti accorgi che qui
non c’è modo d’uscirne.

Non trovi la strada nella bolla;
per quanto lotti e ti disperi
non c’è via o presa che tenga
perché essa è irreale.

Alla fine dovrai cedere;
con dolorosa consapevolezza
e sguardo imparziale
la vedi, allora, come dall’esterno.

Ora sei libero;
libero di poter scegliere
se accettare il fardello
della consapevole responsabilità.

giovedì 15 maggio 2008

Tempi

Se vai al passato
sbagli direzione.

Se ti sposti al futuro
fai ridere gli dei.

Se nell'
attimo
allora sei fuori di testa.

Nel presente rinasci
con tutto il passato e tutto il futuro.

giovedì 1 maggio 2008

Al di là del successo e del fallimento (J. Kabat-Zinn)

"Non è possibile fallire in questo lavoro, se ti applichi con sincerità e costanza.
La meditazione non è una pratica di rilassamento.
Se fai un esercizio di rilassamento e alla fine non sei rilassata, hai fallito.
Ma se stai praticando la consapevolezza, la sola cosa importante è la tua disponibilità a osservare e a stare con le cose così come sono, in ogni dato momento, compresi il disagio, la tensione e i tuoi preconcetti riguardo al successo e al fallimento.
Se questa disponibilità c'è, non puoi fallire"
Jon Kabat-Zinn :Vivere Momento Per Momento, Corbaccio,2005 pag.261

sabato 29 marzo 2008

La risata del Buddha

Si dice che in quel momento esploda in fragorosa risata.
Ride, il Buddha, nel vedere chiaramente il non-senso dell’interminabile attesa.
Poi la domanda d’attesa verrà chiamata pensiero, attaccamento, volontà, io…; poco importa la parola scelta, perché ora il risvegliato ne è fuori.
- Non si rammarica il Buddha del tempo passato in inutile macerazione?
- Sembra proprio di no!
- Ma non poteva giungere prima alla sua meta?
- Eh no: perché già era il Buddha; lo è sempre stato; e, naturalmente, sempre lo sarà.
Come potrebbe essere diversamente?

L’unica differenza è che prima soffriva per ciò che ( non ) voleva; ora gode e ride di ciò che è.*

*
non più di ciò che ha
non più di ciò che sa
non più di ciò che lui è
ride
di ciò che è.


venerdì 7 marzo 2008

Non è la morte

Quando la morte bussò alla mia porta
la pregai in ginocchio di non entrare,
ma lei entrò, senza esitare.
altre volte io venni in questa casa
- disse - e sempre mi accogliesti.
Venni vestita di verde,
cosparsi di fiori il tuo glicine,
profumai il tuo giardino, lo bagnai di rugiada,
mi chiamasti natura.
Venni vestita di bianco,
feci brillare i tuoi occhi,
sorridere tua moglie e i tuoi figli,
mi chiamasti letizia.
Venni vestita di rosso,
tremò il tuo cuore, pregasti,
qualcuno andò via, altri ti dissero
parole buone, mi chiamasti dolore.
Venni di luce vestita
e ti sentisti più vivo, più vero,
ti sembrò ogni cosa più cara,
mi chiamasti amore.
Ora, perchè mi vedi di nero vestita
credi che io spezzi, interrompa,
mi credi nemica di ciò che tu ami.
no, non guardare il vestito.
Non parlai, lei prese per mano
la mia sposa e si avviò.
allora gridai - qual è il tuo nome?
-rispose la morte di nero vestita:
- il mio nome è uno solo, sono la vita."
Italo Nostromo

Non è la morte

Non è la morte distruttiva:
senza morte non potrebbe rinascere
il gioco creativo della vita.

L’originaria energia gioiosa
scompone e ricompone ogni cellula
per poter di nuovo generare .

Non è la morte distruttiva;
mortifera è la forza distruttiva
di folle controllo del gioco vitale.

Sentimento strozzato sul nascere,
infinita ira vendicativa,
una frattura atroce distrugge il cuore.

Non la morte è fuori
dal gioco creativo
di connessione vitale.

martedì 4 marzo 2008

Il male come morte della passione ( S. Caruso )

"..vedo il Male come l'incontenibile brama di distruggere chiunque revochi in dubbio- con la sua intelligenza o con la sua semplice esistenza - certezze di cui un soggetto ritenga non poter fare a meno.
...
Questo dunque fa il Male: non è solo che abbia un nemico, è che lo idealizza! Fa di esso un anti-mito, un antagonista mitico, e fa della sua riduzione a nulla la condizione di sopravvivenza del proprio mito. Così facendo, l'officiante del Male riesce a idealizzare se stesso; può vivere la propria distruttività come un épos, come un'impresa di proporzioni mitologiche, e trovare in ciò una giustificazione narcistica di qualunque cattiveria. Ciò che succede nel campo storico-politico, coinvolgendo comunità intere, non è solo un “mentirsi”, ma un “mentirsi alla grande”
....
A scanso di equivoci non voglio dire - è chiaro - che sempre il vecchio sia male e il nuovo bene. L'origine del Male, quello con la maiuscola, non sta certo nella consapevole fedeltà alle situazioni, alle idee, ai valori del passato; sta invece - a livello psicologico - nel rifiuto a priori di ogni novità, nel non volerne sapere, nella ricerca di una vita assolutamente prevedibile. Chi fa così, chi rifiuta l'esplorazione stessa, vedrà in ogni esploratore un nemico mortale da distruggere.
Paradossalmente, la realtà del Male nasce dalla fantasia onnipotente di eliminare radicalmente dalla vita e dalla storia ogni possibilità di qualunque male. Per volere uccidere tutti i diavoli - se possibile da piccini, prima che crescano - finiamo col diventare il Diavolo noi stessi!"
Sergio Caruso :"Il male come morte della passione. Considerazioni psicoanalitiche sull'aggressività distruttiva"

lunedì 3 marzo 2008

Accenti sonori

Sempre nuovo
Eppure sempre lo stesso.

Che tristezza,
Questa continua ripetizione!
Sempre lo stesso
Eppure sempre nuovo.
Che gioia,
Questa continua riscoperta!

domenica 2 marzo 2008

Giochi creativi

A proposito di “giochi” trovo ora inadeguata la citazione di Paul Carse, scelta in epigrafe, tendente a cogliere la differenza di base fra i diversi ‘tipi logici’ di gioco:

"Ci sono almeno due tipi di giochi, i giochi finiti e quelli infiniti. Un gioco finito si gioca per vincerlo, un gioco infinito per continuare a giocare. I partecipanti a un gioco finito giocano entro confini ben precisi, i partecipanti a un gioco infinito giocano con i confini."
Paul Carse

A ben guardare, chi gioca per vincere non sempre gioca entro confini ben precisi: ci sono i bari; ci sono situazioni borderline..
Inoltre, uno stesso gioco si può giocare all’infinito, come nel gioco d’azzardo e nell’alcolismo.
Invece sono proprio i giochi liberi, sui confini, come quello artistico e poetico, che generano nuove forme, interrompendo la precedente struttura e realizzando nuovi ‘giochi espressivi’.
E’ proprio il tentativo di “vittoria finale” che finisce col dare un carattere infinito ( di ripetitività infinita ) ad un gioco, facendo poi perdere il senso comune che “ogni bel gioco dura poco”.

A proposito di giochi, dunque, è più utile ricercare la differenza originaria con i termini creativo -distruttivo , per poter distinguere i giochi chiusi, ripetitivi, che danneggiano o comunque non favoriscono il pieno sviluppo dei “giocatori”, dai giochi che, invece, generano, alimentano e favoriscono ben-essere e crescita.

"Solo la situazione psicoterapeutica permette di capire adeguatamente il gioco. E' più probabile che si rivolga al terapeuta chi predilige un gioco distruttivo... perciò si sono capiti e approfonditi di più quelli distruttivi, ma il lettore non dimentichi che ce ne sono di costruttivi, giocati da gente più fortunata... 'Buono', dunque, è quel gioco che contribuisce sia al benessere degli altri giocatori, sia alla completa realizzazione di chi è parte in causa".
E. Berne " A che gioco giochiamo"

Dovrò dunque sostituire la citazione di P. Carse con altra più adeguata a cogliere la natura originaria dei "giochi creativi".
Cosa non facile oggi, in un contesto in cui la pubblicità ed i "creativi pubblicitari" si sono impadroniti dei termini e della scena mentale con "arguzia", "fantasia", "ironia", "novità"..."creatività (pubblicitaria)".

sabato 1 marzo 2008

Restare in silenzio (P. Neruda)

Ora conteremo fino a dodici
e tutti resteremo fermi.
Una volta tanto sulla faccia della terra,
non parliamo in nessuna lingua;
fermiamoci un istante,
e non gesticoliamo tanto.

Che strano momento sarebbe
senza trambusto, senza motori;
tutti ci troveremmo assieme
in un improvvisa stravaganza.

Nel mare freddo il pescatore
non attenterebbe alle balene
e l'uomo che raccoglie il sale
non guarderebbe le sue mani offese.

Coloro che preparano nuove guerre,
guerre coi gas, guerre col fuoco,
vittorie senza sopravvissuti,
indosserebbero vesti pulite
per camminare coi loro fratelli
nell'ombra, senza far nulla.

Ciò che desidero non va confuso
con una totale inattività.
E' della vita che si tratta; ....

Se non fossimo così votati
a tenere la nostra vita in moto
e per una volta tanto non facessimo nulla,
forse un immenso silenzio
interromperebbe la tristezza
di non riuscire mai a capirci
e di minacciarci con la morte.

Forse la terra ci può insegnare,
come quando tutto d'inverno sembra morto
e dopo si dimostra vivo.

Ora conterò fino a dodici
e voi starete zitti e io andrò via.
Pablo Neruda

martedì 26 febbraio 2008

Autonomia tra simbiosi ed individuazione

Autonomia non significa autosufficienza o indipendenza;
Autonomia significa responsabilità e appropriatezza nella organizzazione di vita.
Le relazioni che costituiscono l'io devono essere, pertanto, sempre presupposte :
è la modalità di "far proprie" le relazioni che permette di sviluppare integrazione e crescita ovvero separazione e dipendenza.

domenica 17 febbraio 2008

Crisi

“ “Crisi” è un concetto oggi molto utilizzato nel linguaggio comune, ed è una definizione per certi aspetti vaga ed inflazionata, che tende ad attraversare orizzontalmente gran parte della psicopatologia. L’uso del termine crisi in medicina ha radici molto antiche, essendo già rintracciabile in Ippocrate, che coniò il termine “crisi salutare”. Il suo significato etimologico, che deriva dal verbo “krino” (scegliere), apparteneva inizialmente al vocabolario giuridico ed allude ad una situazione ancora aperta, in cui sono presenti diverse possibilità di soluzione.”
Dr. Vincenzo Manna : La crisi come risorsa terapeutica

Crisi indica, dunque, originariamente, un particolare, delicato, significativo, momento di decisione e di crescita.
Che cosa, allora, snatura questa situazione e porta allo stallo della “crisi” intesa comunemente in senso negativo come blocco, separazione, perdita ?
Se l’equilibrio è pre-supposto come subordinato alla volontà, pensieri, etc., dell’io, ne discende, come conseguenza, che, nei momenti di forte squilibrio, tutta la forza interiore sarà portata nel tentativo di ri-stabilire detta modalità di equilibrio.
La crisi, la perdita di questa possibilità automatizzata di intendere e “sentire” l’equilibrio, naturalmente verrà percepita ed amplificata come dis-integrazione, frantumazione radicale dell’essere stesso della creatura.
Da qui la necessità di colmare immediatamente ed ad ogni costo questo buco, questa frattura.
L’acting-out , il rimuginio, le mille forme di dipendenza, sono funzionali a “riempire” il pre-supposto buco nero della ( sensazione di ) disintegrazione.
L’impossibilità di osservare, vivere, attraversare gli elementi ( di realtà ) della crisi (che portano alla crescita), discende da questo schema primario.
Il buco, l’assenza di “base sicura” non è, pertanto, assenza di un’immagine interiorizzata ( “la madre buona” ), ma innanzitutto assenza dell’esperienza con-divisa dello spontaneo riequilibrio organico.
In assenza dell’originaria esperienza condivisa di spontaneo riequilibrio organico, il tentativo disperato della creatura di fronteggiare la situazione contestuale a proprio vantaggio, porterà inevitabilmente entro il dominio del controllo e di qui all’esasperazione drammatica dei tentativi di “fronteggiare” la crisi.
Nel dominio della volontà di controllo emerge la situazione “disperante”: non c’è spazio possibile per un più ampio, spontaneo, organico riequilibrio.
E’ proprio il tentativo forsennato della volontà di “risolvere (prematuramente) la crisi” che impedisce di osservarla e viverla :
di crescere attraverso il farsi di questa esperienza.

Kōan : questo, quello, qualcuno

« Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem. »
William of Ockham


Questo ( gesto, pensiero, comportamento…)

Questo è fatto dall’Io
E questo è fatto dal
E questo, infine, è fatto da Ātman

Ātman ( Essere, Assoluto, Natura, Spirito, o qualsiasi nome si voglia dare a “Quello”)
"Tat tvam Asi" (Tu sei Quello)

Eppoi qualcuno si chiede :

“ Come può quello fare questo? ”

venerdì 15 febbraio 2008

Il tempo fondato come musica (H.H. Eggebrecht)

"Cos’è il tempo? Non lo so. Però mi piacerebbe saperlo. Per questo me lo chiedo. Mi piacerebbe saperlo in rapporto alla musica, di cui mi sono sempre occupato e nella quale quel che chiamiamo ‘tempo’ ha una parte così importante. E mi piacerebbe saperlo anche in via di principio – non solo perché la sfera dei principii deve accompagnare ogni approccio alla musica, ma anche perché quando si diventa vecchi si avvicina la fine del tempo concesso alla nostra vita. Mi piacerebbe unire l’elemento di principio alla musica, ed entrambi alla vita. Ma so già che, nonostante le domande e le riflessioni, non saprò mai cosa sia il tempo.
….
Secondo lo stato attuale della mia riflessione, sarebbe più corretto dunque se la definizione suonasse così: la musica è un gioco con stimoli sensoriali nella forma di una fondazione del tempo. Questo tempo fondato dalla musica, creato da essa, ha tutta una serie di proprietà.
(1) Il tempo fondato come musica, o c’è come musica concreta, o non c’è affatto. Aggiungo che il fatto che ci sia è indipendente dalla concretezza della musica concreta, dal caso singolo, da quella data opera e dalla sua funzione specifica, è indipendente dalla storia, dalle forme del pensiero che pensa il decorso, da elementi come metro, battuta, ritmo. Il tempo musicale nel suo aspetto di principio è il tempo che perviene alla presenza (Dasein) mediante una concreta musica, quale che essa sia.
(2) Il tempo fondato come musica, cioè come gioco con stimoli sensoriali, è – anche quando si manifesta in forme estemporanee, senza il sussidio della notazione – sempre composto, proprio nel senso letterale del verbo latino componere: posto insieme, una com-posizione di movimenti, un tessuto organizzato di percezioni sensibili, ciascuna delle quali ha una durata che fonda il tempo. La compositio degli stimoli sensoriali è parimenti una compositio di tempi, che forma un tutt’uno con essa. Questa frase non è rovesciabile: una compositio di tempi non può fungere da punto di partenza. Non si può comporre qualcosa che non c’è, neppure come realtà estetica.
(3) La compositio del tempo fondato come gioco con stimoli sensoriali è complessa in sommo grado: già in una singola voce o parte, e a maggior ragione in un tessuto di tali voci. Ogni singolo evento nella totalità degli eventi e ogni relazione tra di essi fondano il proprio tempo.
(4) Pertanto il tempo musicale in quanto realtà estetica non è cosa da cogliere per via razionale. E ciò non solo a causa della sua complessità e non solo in conseguenza della modificabilità dell’elemento musicale stabile in ciascuna sua realizzazione strumentale: al di là di tutto questo, il tempo non può essere isolato. Né l’analisi del tempo musicale cronometrica e matematica, né quella che lo visualizza in modo schematico hanno una realtà estetica. Nella realtà del farsi evento il tempo musicale si sottrae alla razionalità astraente; si nega all’approccio scientifico.
(5) Il tempo fondato come musica è oggettivo; non nel senso del tempo dell’orologio, che svanisce come dato nella comprensione di ciò che si fa evento. È oggettivo nel senso di una fattualità che viene prodotta dall’evento sensibile. Anch’essa viene concepita, ma precede ogni concezione e non svanisce in essa, bensì la fonda e vi rimane come alcunché di essenziale.
(6) Il tempo musicale viene sì inteso, ma non con dati numerici, misurazioni fisiche, o apparecchiature concettuali di tipo epistemologico. Viene inteso, piuttosto, nell’atto della percezione estetica: inteso dall’intelletto estetico. E nella sua oggettività e aconcettualità avvia l’identificazione estetica, cioè il processo del giocare-insieme del gioco degli stimoli di senso nella forma di un porre il tempo. L’io dell’esecutore-giocatore e dell’ascoltatore sprofonda nel gioco della musica come tempo, sì che ogni altra temporalità svanisce.
….


Così, la domanda di partenza – cos’è il tempo? – non era stata posta in modo sbagliato solo in merito alla musica, ma anche in relazione alla vita. Non ci si può interrogare su qualcosa che non c’è. Mentre io rifletto sulla musica e vorrei portare alla realtà la sua derealizzazione, imparo a creare il tempo come mio proprio tempo. La vita non dev’essere un sopportare il tempo, un’esistenza nel tempo, prigionia nel tempo, mosso dalla sua ruota, angoscia di fronte al passare irrevocabile, paura della fine del tempo, ma nel farsi evento, nell’autorealizzazione dell’io la vita può essere un creare, un porre, un fondare il tempo, in cui la somma delle creazioni crea anche una fine. Il tempo può essere il nostro avversario, un nemico: esso vuole assoggettarci. Noi possiamo opporci ad esso, allorché non ci assoggettiamo al suo volere, ma lo progettiamo a partire da noi stessi, come fa la musica."

di Hans Heinrich Eggebrecht in "MUSICA COME TEMPO"

domenica 27 gennaio 2008

Aiòn: tempo, percorsi, consapevolezza


"comprendere
il punto di intersezione
del senza tempo
col tempo”
T.S. Eliot

"Aiòn è un bambino che gioca con le tessere di una scacchiera: di un bambino è il regno del mondo"
(DK B 52). Eraclito

Aion è il più difficile da dire perché si situa nel discrimine tra eternità ed attimo.

“Non bisogna perdersi nel passato nè nel futuro.
Il solo momento in cui si è vivi
o in cui si può toccare la vita,
è il momento presente, qui e ora"
Thich Nhat Hanh

“Esiste un momento di crisi che caratterizza il borderline, un momento che chiameremo tempo zero (t con 0 per dirla in modo scientifico) o area del trauma. Durante questa crisi, un trauma vissuto nel passato remoto si ripete e prende il sopravvento secondo una logica di coazione a ripetere. Il paziente annaspa come se fosse inghiottito dalle sabbie mobili, il tempo si annulla ed ogni mutamento sembra impossibile.”
A Correale : 'La dimensione del tempo nel disturbo borderline'.


Eterno:
Il presente pieno è presente organico: contiene tutto il passato ed il futuro.
Proprio per questo spessore ortogonale, che ha radici, memoria, sedimentazione emotiva, esso è presente.

Attimo:
Il presente vuoto è dis-organico: “tempo zero”,
avventurasenza ieri né domani”, privo di senso, drammatizza la presenza.
Proprio per questo tentativo di rielaborare una consapevolezza assente, esso non è "né qui né allora”.

Questa la zona di confine.

Oltre il confine, un buco nero circonda e incatena la memoria ; oltre il confine, percorsi di consapevolezza liberano la presenza.


"Vedere un Mondo in un granello di sabbia,
E un Cielo in un fiore selvatico,
Tenere l'Infinito nel cavo della mano
E l' Eternità in un'ora."
William Blake

domenica 20 gennaio 2008

Passaggi

Oscura
Oscura notte
Oscura notte dell'anima.

E' stata dura
E' stato
E'.