venerdì 1 agosto 2008

Terzo senso

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Terzo senso

E’ facile trovare un doppio o triplo senso nelle parole.
Questa scoperta può avvenire in modo tragico , quando ci rendiamo conto, troppo tardi, di non aver soppesato bene il senso ambiguo di quelle parole che ci sembravano una promessa, un’occasione, un buon contratto, una certezza…
Questa scoperta può avvenire in modo creativo, quando ri-scopriamo, ancora una volta, un senso ulteriore, più profondo nel testo poetico che ora a noi, nuovamente, si rivela…
Due contesti molto diversi.
Eppure entrambi sembrano inserirsi entro la cornice linguistica di significato.


5.6 I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo.
Ludwig Wittgenstein

Cosa succede quando si giunge “al limite del mio mondo” ?

La risposta di Wittgenstein è questa:

[6.52] Noi sentiamo che, anche una volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto risposta, i nostri problemi non sono ancora neppur toccati. Certo allora non resta più domanda alcuna; e appunto questa è la risposta.

[6.521] La risoluzione del problema della vita si scorge allo sparir di esso. (Non è forse per questo che uomini cui il senso della vita divenne, dopo lunghi dubbi, chiaro, non seppero poi dire in che consisteva questo senso?)
[6.522] V’è davvero dell’ineffabile. Esso mostra sé, è il mistico.

Egli “sente”, e sente così fortemente da dire “noi sentiamo”, che vi è un “terzo senso” oltre e precedente il mondo linguistico di significato.
E’ questo “terzo senso”, esterno ai “problemi” umani e pertanto ineffabile, che fornisce “la risoluzione del problema della vita”.
La risoluzione “si scorge “ quando scompare il problema; perché essa è fuori dai limiti del mio mondo.
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Lucida follia

Il Macbeth di Shakespeare, nel celebre passo (atto V, scena V) di “lucida follia” scorge il limite:
“Spegniti, spegniti, breve candela! La vita non è altro che un'ombra che cammina; un mediocre attore che si pavoneggia e si dimena sul palcoscenico per il tempo della sua parte e poi non si ode più oltre. È una favola narrata da un idiota, piena di strepito e furia e senza significato alcuno.”
Tuttavia la maschera del potere, rinchiusa nel proprio castello, sente un vuoto, sente di non poter permettersi, non si permette, un diverso sentire .
Non si lascia andare al naturale dolore della perdita di Lady Macbeth :
“Avrebbe dovuto morire più tardi; non sarebbe mancato il momento opportuno per udire una simile parola. Domani, poi domani, poi domani: così, da un giorno all'altro, a piccoli passi, ogni domani striscia via fino all'ultima sillaba del tempo prescritto; e tutti i nostri ieri hanno rischiarato, a degli stolti, la via che conduce alla polvere della morte.”
La lucida follia di Macbeth “deve” mantenere un senso anche di fronte alla perdita totale di senso.
La chiusura tragica non consente altra possibilità: anche la natura, indifferente alle vicende umane, sembra animarsi come macchina bellica e stringere d’assedio il castello.
Il “terzo senso” è stato reciso dalla tragica maschera di potere .
Fino all’ultimo, Macbeth, rifiuta di “sentire” ciò che la maschera non può sentire, un altro senso, estraneo perché totalmente fuori dal suo castello.
MACBETH: Maledetta la lingua che mi dice questo, poiché essa ha fiaccato quanto di meglio v'era d'uomo in me! E non si creda più a questi dèmoni impostori, che ci ingannano con discorsi a doppio senso:
che mantengono all'orecchio nostro la loro promessa, e poi la rompono alla nostra speranza... Io non mi batterò con te.
MACDUFF: Allora arrenditi, codardo, e vivi per essere lo spettacolo e la meraviglia di questa età: attaccheremo il tuo ritratto in cima ad un palo, come si fa dei nostri più rari esseri mostruosi, e sotto ci scriveremo: "Qui potete vedere il tiranno".
MACBETH: Io non mi arrenderò, per baciare la terra ai piedi del giovane Malcolm, e per esser maltrattato dalle imprecazioni della marmaglia. Sebbene il bosco di Birnam sia venuto a Dunsinane, e mi sia di fronte tu, che non sei stato partorito da una donna, pure io tenterò l'ultima prova; io protendo dinanzi a me il mio scudo di guerra: avanti, Macduff, e sia dannato colui, che per il primo grida:
"Fermo, basta!".

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Connessione di base

L’espressione “senso di vuoto” presuppone “un pieno”.
Questo pieno è nel mondo categoriale, nel “mio mondo”, come detto da Wittgenstein.
L’angoscia sottesa nel dramma o nelle tragedie che cercano di affrontare questo “senso di vuoto” viene chiamata “indicibile” in quanto rimanda a qualcosa che è fuori dal “mio mondo”.
La domanda si ripete ed il dramma segue il suo corso perché il tentativo di colmare la “percezione di dis-connessione” , oscura il senso più profondo di questa percezione, di questo ”tornare sul luogo del delitto”, di questa tragedia che si estende, di questa pagliacciata che si ripete…
Una percezione si è chiusa. L’espressione “senso di vuoto” indica e naconde questa chiusura.
Crisi significa separazione.
Crisi significa crescita.

"Nulla v'è di così insensibile, brutale o scatenato dalla rabbia che la musica, finché se ne prolunghi l'eco, non trasormi nella sua stessa natura. Colui che non può contare su alcuna musica dentro di sé, e non si lascia intenerire dall'armonia concorde di suoni dolcemente modulati, è pronto al tradimento, agli inganni e alla rapina: i moti dell'animo suo sono oscuri come la notte, e i suoi affetti tenebrosi come l'Erebo.
Nessuno fidi mai in un uomo simile. "
William Shakespeare Il mercante di Venezia, Atto V, scena I

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