venerdì 18 luglio 2008

"Avere attenzione"

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"Avere attenzione" si può declinare in due modi:

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"Avere attenzione": avere cura; avere interesse;avere a cuore;avere simpatia/sintonia....


Questo 'avere' è in effetti un 'dare'.


Con l'attenzione l'essere si protende verso l'altro, il mondo.

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"Avere attenzione": richiedere che l'altro, l'intero mondo "gli presti" la sua attenzione.


Qui in effetti non c'è un "avere" ma piuttosto un buco da colmare.


Una pretesa maschera l'essere.

Conclusione: E' logico che chi "non ha attenzione", dica che "vuole avere attenzione"; ma spesso non sa quel che dice.

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mercoledì 16 luglio 2008

Spettatori o Testimoni?

Una ricerca sull'intreccio, ma anche sulla differenza, fra spettatore e testimone trovo in un interessante articolo di Beppe Sebaste dal titolo "Siamo tutti testimoni".
Per sottolineare la sottile ma radicale differenza fra queste due figure sarebbe stato opportuno, forse, aggiungere, nel titolo, un bel punto interrogativo :"Siamo tutti testimoni ?"

L'articolo, apparso sull'Unità l'11 aprile 2005, inizia parlando del pellegrinaggio a San Pietro per i funerali del papa e così conclude:

"Ora, il ritorno oggi prepotente del bisogno di testimoniare di persona, da cosa dipende se lo spazio della testimonianza risulta del tutto saturo dai grandi racconti televisivi, se tutti siamo al corrente di tutto in presa diretta? Cosa indicano insomma i pellegrini di San Pietro? Quel desiderio di presenza, di essere testimoni, rileva del desiderio di riscattare la propria vita individuale dai grandi racconti che sommergono le nostre vite ordinarie, di strappare uno spazio personale di racconto al fluire passivo e omogeneo delle nostre vite di spettatori, così povere di esperienze. L’ultimo paradosso della testimonianza è dunque il seguente: è per sottrarsi alla testimonianza unica, all’iperrealtà dell’omologazione televisiva, che migliaia di “testimoni” volontari si sono messi in moto e hanno fatto l’evento, dando spettacolo loro malgrado. Semplicemente per esserci, fisicamente, live, in prima persona. Perché saturi dello spettacolo della “vita in diretta” alla Tv, dell’omogeneizzazione del mondo quotidianamente offerta, e anche più volte al giorno, che annulla e dissolve ogni memoria nell’eterno presente che avviene sotto i nostri occhi. E’ per protestare sommessamente a questa perdita che una massa di individui ha scelto di ricorrere alla propria memoria personale, diventando testimoni per eccellenza: coloro che trasmettono narrativamente un avvenimento, in una catena di testimonianze. Se testimoniare significa creare l’evento, l’analisi delle testimonianze e della loro narratività è la chiave per comprendere la logica di ciò che accade, una logica suscettibile di scavare e resistere anche alla globalizzazione: raccontare storie. Essere testimoni, raccontare gli eventi, significa praticare la “politica”, l’unica divinazione possibile, quella che già nel Settecento si chiamava “divinazione del presente”.
Beppe Sebaste dotcom

lunedì 14 luglio 2008

Lo spazio e il dovere dello scrittore (N. Gordimer)

"Dovere, compito, significato. Per attribuirli credo che dobbiamo innanzitutto definire che cosa sia la testimonianza. Non è semplice. Ho preso il dizionario e ho visto che le definizioni riempiono più di una colonna a caratteri minuti. Testimonianza: "Attestazione di un fatto avvenimento o dichiarazione, dimostrazione, prova. Testimone: "Persona che assiste a un fatto ed è in grado di attestarlo in base alla sua personale osservazione".

Poesia e romanzi sono processi cui lo status di testimonianza è attribuito dal dizionario Oxford riferendolo alla "testimonianza interiore" , le vite di singoli uomini, donne e bambini che devono ricomporre dentro di loro le certezze frantumate, vittime anch'esse, al pari dei corpi sotto le macerie di New York e dei morti in Afghanistan. Kafka dice che lo scrittore vede tra le rovine "altre (e più )cose ... è uscire d'un balzo dalla fila degli assassini, è vedere quello che avviene veramente".

Il dualismo di interiorità e mondo esterno, è questa l'unica essenziale condizione esistenziale dello scrittore come testimone.
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Flaubert scrive a Turgenev: "Ho sempre cercato di vivere in una torre d'avorio, ma una marea di merda sta premendo alle sue mura e minaccia di distruggerne le fondamenta".
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la grandezza della testimonianza interiore di Conrad scopre che il "cuore di tenebra" non è la postazione senso, quello dell'immaginazione. Il "realizzare" ciò che sta accadendo viene da quella che sembra una negazione della realtà, il passaggio degli avvenimenti, dei motivi, delle emozioni, delle reazioni, dall'immediatezza a quel senso stabile che è il significato. Se accettiamo che la "contemporaneità" abbraccia il secolo in cui noi tutti siamo nati, al pari di quello appena iniziato in modo così crudo, arriviamo a molti esempi di questa quarta dimensione di esperienza che è lo spazio e il dovere dello scrittore .
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Non c'è torre d'avorio che possa sostenere l'assalto della realtà che preme alle mura, come notava sgomento Flaubert. Nel testimoniarla la fantasia non è irreale ma rappresenta la realtà più profonda. L'esigenza di questa realtà profonda non potrà mai consentire il compromesso con la saggezza della cultura convenzionale e ciò che Milosz chiama le bugie ufficiali. Quell'eminente intellettuale del rifiuto del compromesso, Edward Said, si chiede chi, se non lo scrittore, debba "svelare e chiarire i contesti, la sfida e la speranza di sconfiggere il silenzio imposto e la quiete normalizzata del potere". L'ultima parola sulla letteratura di testimonianza viene di sicuro da Camus: "Il momento in cui non sarò nulla più che uno scrittore, potrò smettere di essere uno scrittore".


di Nadine Gordimer


(Pubblicato su La Repubblica nel 17 agosto 2002 - Traduzione di Emilia Benghi)

venerdì 11 luglio 2008

L'attore, lo spettatore, il testimone

"Un giorno (era più o meno il 1963) abbiamo detto di no a tutto questo. La partecipazione attiva degli spettatori non è possibile in queste condizioni…
se cerchiamo la partecipazione attiva degli spettatori siamo condannati o a violarli, a opprimerli, oppure gli spettatori stessi sono ben contenti di recitare come clown…
In quel momento credo che tutti gli spettatori hanno partecipato direttamente ...

quello che hanno voluto fare è essere testimoni, non dimenticare nessun particolare, per poter dare la loro
testimonianza.
Questa presenza è stata veramente totale… "
Jerzy Grotowski, Il teatro è una tigre che ci assale, brani raccolti da Franco Quadri, in "Sipario", n. 284, 1969, p. 17 su http://www.elfland.it/
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L’attore, agendo, è nel presente
ma, se occupa tutta la scena,
inebriato di protagonismo,
vive la maschera della vita.

Lo spettatore, guardando, è fuori
e partecipando dall’esterno ai tempi della vita,
ripercorre il dramma della maschera
di essere presente essendo altrove.

Il testimone, totalmente presente,
con consapevolezza che amplia la scena,
oltre il dramma dell’attore,
oltre lo schermo dello spettatore,
nel vivente vede, testimone, sé stesso.
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