"Cos’è il tempo? Non lo so. Però mi piacerebbe saperlo. Per questo me lo chiedo. Mi piacerebbe saperlo in rapporto alla musica, di cui mi sono sempre occupato e nella quale quel che chiamiamo ‘tempo’ ha una parte così importante. E mi piacerebbe saperlo anche in via di principio – non solo perché la sfera dei principii deve accompagnare ogni approccio alla musica, ma anche perché quando si diventa vecchi si avvicina la fine del tempo concesso alla nostra vita. Mi piacerebbe unire l’elemento di principio alla musica, ed entrambi alla vita. Ma so già che, nonostante le domande e le riflessioni, non saprò mai cosa sia il tempo.
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Secondo lo stato attuale della mia riflessione, sarebbe più corretto dunque se la definizione suonasse così: la musica è un gioco con stimoli sensoriali nella forma di una fondazione del tempo. Questo tempo fondato dalla musica, creato da essa, ha tutta una serie di proprietà.
(1) Il tempo fondato come musica, o c’è come musica concreta, o non c’è affatto. Aggiungo che il fatto che ci sia è indipendente dalla concretezza della musica concreta, dal caso singolo, da quella data opera e dalla sua funzione specifica, è indipendente dalla storia, dalle forme del pensiero che pensa il decorso, da elementi come metro, battuta, ritmo. Il tempo musicale nel suo aspetto di principio è il tempo che perviene alla presenza (Dasein) mediante una concreta musica, quale che essa sia.
(2) Il tempo fondato come musica, cioè come gioco con stimoli sensoriali, è – anche quando si manifesta in forme estemporanee, senza il sussidio della notazione – sempre composto, proprio nel senso letterale del verbo latino componere: posto insieme, una com-posizione di movimenti, un tessuto organizzato di percezioni sensibili, ciascuna delle quali ha una durata che fonda il tempo. La compositio degli stimoli sensoriali è parimenti una compositio di tempi, che forma un tutt’uno con essa. Questa frase non è rovesciabile: una compositio di tempi non può fungere da punto di partenza. Non si può comporre qualcosa che non c’è, neppure come realtà estetica.
(3) La compositio del tempo fondato come gioco con stimoli sensoriali è complessa in sommo grado: già in una singola voce o parte, e a maggior ragione in un tessuto di tali voci. Ogni singolo evento nella totalità degli eventi e ogni relazione tra di essi fondano il proprio tempo.
(4) Pertanto il tempo musicale in quanto realtà estetica non è cosa da cogliere per via razionale. E ciò non solo a causa della sua complessità e non solo in conseguenza della modificabilità dell’elemento musicale stabile in ciascuna sua realizzazione strumentale: al di là di tutto questo, il tempo non può essere isolato. Né l’analisi del tempo musicale cronometrica e matematica, né quella che lo visualizza in modo schematico hanno una realtà estetica. Nella realtà del farsi evento il tempo musicale si sottrae alla razionalità astraente; si nega all’approccio scientifico.
(5) Il tempo fondato come musica è oggettivo; non nel senso del tempo dell’orologio, che svanisce come dato nella comprensione di ciò che si fa evento. È oggettivo nel senso di una fattualità che viene prodotta dall’evento sensibile. Anch’essa viene concepita, ma precede ogni concezione e non svanisce in essa, bensì la fonda e vi rimane come alcunché di essenziale.
(6) Il tempo musicale viene sì inteso, ma non con dati numerici, misurazioni fisiche, o apparecchiature concettuali di tipo epistemologico. Viene inteso, piuttosto, nell’atto della percezione estetica: inteso dall’intelletto estetico. E nella sua oggettività e aconcettualità avvia l’identificazione estetica, cioè il processo del giocare-insieme del gioco degli stimoli di senso nella forma di un porre il tempo. L’io dell’esecutore-giocatore e dell’ascoltatore sprofonda nel gioco della musica come tempo, sì che ogni altra temporalità svanisce.
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Così, la domanda di partenza – cos’è il tempo? – non era stata posta in modo sbagliato solo in merito alla musica, ma anche in relazione alla vita. Non ci si può interrogare su qualcosa che non c’è. Mentre io rifletto sulla musica e vorrei portare alla realtà la sua derealizzazione, imparo a creare il tempo come mio proprio tempo. La vita non dev’essere un sopportare il tempo, un’esistenza nel tempo, prigionia nel tempo, mosso dalla sua ruota, angoscia di fronte al passare irrevocabile, paura della fine del tempo, ma nel farsi evento, nell’autorealizzazione dell’io la vita può essere un creare, un porre, un fondare il tempo, in cui la somma delle creazioni crea anche una fine. Il tempo può essere il nostro avversario, un nemico: esso vuole assoggettarci. Noi possiamo opporci ad esso, allorché non ci assoggettiamo al suo volere, ma lo progettiamo a partire da noi stessi, come fa la musica."
di Hans Heinrich Eggebrecht in "MUSICA COME TEMPO"
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