lunedì 11 ottobre 2010

Lasciar andare

""Una volta ispirati, né il cielo né la terra si possono più trovare. Una volta raggiunto questo luogo, l'eternità è illuminata: come potrebbe esservi qualcosa dato dai Buddha?
Se volete raggiungere pienamente questo luogo, dovete lasciar andar tutto. Non cercate nemmeno il regno della buddhità o della padronanza dello Zen. E ancora meno dovreste avere amore per voi stessi o odio per gli altri. Senza far sorgere nessuna concettualizzazione, guardate direttamente: c'è qualcosa che non ha pelle o carne, il suo corpo è come lo spazio senza nessuna specifica forma o colore. È come acqua pura, perfettamente chiara. Vuoto e chiaro, si tratta semplicemente di esserne del tutto consapevoli.
Come spiegare questo principio?

L'acqua è chiara fino in profondità;
Splende senza bisogno di pulirla".

Tutto va lasciato andare. Non c'è nulla da trattenere: arrendevolezza, arrendevolezza. Trattenere vuole dire paura; lasciare è libertà. Trattenere è chiusura; lasciare è apertura. Trattenere è sforzo; lasciare è riposo. Trattenere è tensione; lasciare è calma. Trattenere è separare; lasciare è unire. Tutto è illuminato, tutto è pieno di eternità; non c'è nessuna distinzione, nessun alto o basso. Non c'è cielo e terra, non c'è samsara e nirvana. È tutto già qui, presente. Cosa andare a cercare dai Buddha? Cosa aggiungerebbero i Buddha a questo dato di fatto, a questa incontrovertibile realtà? È il tuo voler trattenere che ti fa mettere in fuga verso il Buddha, è la tua assenza dalla realtà. Fai distinzioni: tra te e ciò che vorresti essere, tra te e gli altri. Allora cerchi certe cose, fuggi da altre; vuoi migliorare la situazione, vuoi rifuggire certe condizioni. Fai il buddhista, ti interessi di zen, ecc.
Eppure non si tratta di un sapere, non si tratta di un pensiero. È qualcos'altro: è un "guardare direttamente". Quando hai lasciato la presa, come non puoi guardare direttamente? Sei immerso nella realtà, nella sua autenticità, nella sua imprevedibile verità, le barriere non ci sono più. Sei abbandonato, totalmente. Non è questione di tecniche, di nuove conoscenze, di libri, di pratiche. Non c'è nulla di complicato: è anzi la cosa più semplice che vi sia, quella che dovrebbe risultare più naturale, più immediata. È l'abbandono di qualsiasi piano, di qualsiasi escamotage, di qualsiasi strumentalismo. Non c'è nessun esercizio della volontà da mettere in atto, non è un cercare e conquistare qualcosa. È proprio il contrario: è uscire dalla gabbia della nostra volontà, fuori dai nostri devi e non devi, dai nostri bene e male, dai nostri mi piace e non mi piace. Nel senso che c'è un'altra possibilità: è quell'essere chiari, vuoti, limpidi come acqua, disponibili come lo è un lago in cui venga gettato un sasso. Sono state abbandonate le reattività, abbandonati i desideri di rivalsa, gli egocentrismi di conquiste. Quanti pesi, quante zavorre, quanta inutilità...
È così evidente tutto questo! Se non lo capiamo subito, non serviranno certo altre stupide parole per convincerci. Se non lo capiamo subito, tutti i sutra del mondo ci serviranno solo come conforto psicologico, correremo dai guru di turno per coprire i nostri vuoti, ecc. Finché mi diletterò ad aggiungere ulteriore materiale al mio bagaglio di esperienze, continuerò a vivere facendo i miei soliti giochini di anima bella, sovrapponendo filtri su filtri o sostituendoli fra loro. Ecco, appunto: lo zen di cui parliamo è un'altra cosa. È non avere bisogno di pulire l'acqua, già così splendida. C'è qualcosa che è al di là degli artifici, dei nostri tentativi di comprensione, dei pensieri più alti: è quella cosa di cui fare esperienza. È quella cosa da sentire, al di là della forma e del colore. È nella crepa di una mattonella, nel movimento di un braccio, in una parola casuale, nel prendere una posata, ... "Si tratta semplicemente di esserne del tutto consapevoli".
La consapevolezza apre, pone in un atteggiamento di disponibilità, è in sintonia con il 'lasciare la presa'. Nella pratica meditativa lo si capisce molto bene: vanno di pari passo. Consapevolezza e abbandono: consapevolezza senza abbandono rischia di scadere in un esercizio sterile di concentrazione e di chiusura; abbandono senza consapevolezza porta al torpore, all'obnubilamento mentale, alla vaghezza, all'incoscienza. Quindi: consapevolezza e apertura, consapevolezza e abbandono, consapevolezza e svuotamento. Il resto è rifiuto, negazione, opposizione, rigidità, resistenza. Sostanzialmente è mancanza d'amore."
Dal Denkoroku di Keizan, maestro zen del XIII secolo
su http://www.lameditazionecomevia.it/denko11.htm

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