domenica 15 luglio 2007

Ambiente naturale - Ambiente perverso

Nel saggio “Verso un Ecologia della Comunicazione -Discorsi Viventi e Discorsi Morenti in ‘Psicoterapia “ Vincent Kenny, Direttore dell’Istituto di Psicologia Costruttivista di Dublino, cerca di individuare le caratteristiche salienti del “Discorso morente”, opposto al “Discorso vivente”.
Questo notevole saggio, collegato ad un altro già evidenziato in un precedente post : “Le due psicologie della comprensione e della manipolazione , mette in luce tre parole-chiave che soprattutto costituiscono il “Discorso morente” :
Potere, Controllo , Manipolazione.
-Come comprendere la valenza negativa/malefica per la vita di questi tre termini, che, usati in contesti specifici, denotano, invece, valori positivi di abilità e competenza?
Non è facile trovare risposta se ci si pone con ottica analitica: Infatti è proprio il carattere pervasivo e totalizzante, fino a costituire una sorta di dominio unico, che rende il senso negativo del “Discorso”.
Può essere utile, a questo proposito, far riferimento al concetto di “perversione” e poter così parlare di “Ambiente perverso” , un ‘ambiente’ che accomuna fenomeni anche molto diversi e analizzabili tanto sul piano psicologico, quanto sul piano sociale, definiti con diverse etichettature, ma che riconducono ad una comune radice di fondo : lo stravolgimento della relazione e della natura umana della persona .
Mentre l’ambiente naturale favorisce la vita dell’individuo come sviluppo e crescita, possiamo definire “ambiente perverso” quell’insieme di relazioni che tendono a bloccare lo sviluppo e stravolgere la crescita dell’individuo con un fine imposto.
Pensare lo sviluppo umano secondo lo schema a 4 stadi (1.Fusione- 2.Distacco -3.Affermazione -4. Condivisione) risulta utile per meglio comprendere i disturbi relazionali.
Nello schema, la domanda sul perchè non si realizzi il quarto stadio della Condivisione, porta subito a spostare la lente dell’attenzione sullo stadio precedente dell’Affermazione di identità dell’io.

-Cosa accade se l’ambiente relazionale impedisce, in modo brutale o sottilmente subdolo, poco importa, ma rigidamente impedisce l’affermazione dell’io riassumibile nell’espressione verbale “E’ questo che sento e voglio!” ?
Alla creatura, in ultima analisi, resterà, alla fine, questa sola possibilità di realizzare se stessa in questo stadio:
“Non voglio che tu vuoi che io voglio!”
Chiaramente questa non è ancora una formulazione verbale in quanto il processo di mentalizzazione non è ancora formato.
Nella crisi adolescenziali di affermazione d’identità, invece, le espressioni cruciali sono proprio quelle:
“Non rompermi l’anima!” ; “Lasciami stare;io non sono te” o altre espressioni più colorite e triviali che fanno riferimento ad altri ‘attributi’ del corpo e che comunque sempre conservano quel riferimento alla rottura profonda…
Ma nell’adolescenza c’è già io e mentalizzazione della dinamica in atto.
Nello stadio 3, invece, tutto il processo è ancora fluido, pre-riflessivo.
Pertanto la frase :”Non voglio che tu vuoi che io voglio!” può essere utile solamente perchè chiarisce bene come l’originaria spinta pulsionale affermativa “Voglio”, si trasformi, nell’ambiente pervasivamente rigido e costrittivo, in spinta negativa/distruttiva “Non voglio”.
Il “questo”, nella dinamica analizzata, è scomparso: si configura invece come un buco nero, attrattore di un bisogno continuo e insaziabile perchè non identificabile.
La figura di riferimento,”tu vuoi che io voglio”, risulta invariabilmente ostile, malefica: se buona è comunque fagocitante, divoratrice, e se cattiva è distruttiva, dilaniante.
La creatura che si trova in questo vissuto, vive e agisce (reagisce) la relazione entro un dominio che è caratterizzato da Potere, Controllo , Manipolazione.
In questo dominio non c’è spazio per sedimentazione di vissuti emotivi, in altre parole non c’è esperienza di sentimento, non c’è empatia, non c’è identità piena nè dell’io nè dell’altro ( entrambi ridotti a fantasmi, maschere), non c’è possibilità alcuna di condivisione.

Pertanto modalità di rapporto/comunicazione disturbati/perversi quali:
Splitting di giudizi fantasmatici in Bianco-Nero
Acting aut e movimento rigido e incolsuto
Confusione ideativa fatta di fotogrammi staccati e senza contesto
Ambiguità, Maschera, Recitazione drammatica
Menzogna , Omissione, Inganno
Colpevolizzazione, Rimuginio, Recriminazione
Impulsività, Competizione, Disprezzo
Negazione, Rabbia, Risentimento

risultano essere la risposta allo schema dato e allo stesso tempo riproposizione del medesimo schema: pretesa assurda di affermazione come controllo della relazione e rivincita/risarcimento di un torto subito.
Lo schema è più facilmente colto se inquadrato entro la categoria di “perversione” piuttosto che entro quella di “borderline” o “narcisismo patologico”.
Infatti, uscendo fuori dalla complessa letteratura clinica e dalla relativa cornice di etichettatura psichiatrica, è più facile scorgere, nel sociale, quegli ambienti che, costruiti sulla stessa dinamica di base di disconoscimento/perversione della creatura (a fini economici, a fini di potere, a fini di plagio settario, etc.) riproducono su individui già formati linguaggi e dinamiche molto simili a quelle qui individuate.

L’essenza della perversione,”Voglio che tu vuoi!”, si caratterizza dunque come fenomeno di “controllo della volontà dell’altro attuato tramite manipolazioni di svuotamento dell’anima”.
La perversione può, pertanto, essere vista come uno stravolgimento brutale (è qui la hubris della volontà) della naturale crescita/creatività ed al tempo stesso (proprio per questo), come un maleficio che tende a perpetuarsi e riprodursi in forma quasi virale.
Lo svuotamento dell’anima ( o disumanizzazione dell’altro) è connesso con la volontà di base che va a colpire non un aspetto particolare della persona, ma quella radice di senso e gusto che forma la volontà, l'io , la relazione.

La categoria di perversione risulta utile sia perchè ancora facilmente percepibile dal senso comune, ma anche perchè permette di accomunare, indagare e combattere tutta una serie di fenomeni sociali “perversi”: mobbing; stalking; abuso ; violenza; molestie morali; bullismo; plagio; ed altre forme di vessazione, sopraffazione, corruzione del mondo ‘economico’, ancora senza etichetta, ma ugualmente sentite come ‘perverse’.

Marie-france Hirigoyen, nel suo libro “Molestie morali. La violenza perversa nella famiglia e nel lavoro” (Einaudi, 2000), così conclude il suo lavoro:
“La corruzione è diventata moneta corrente. Ora, bastano uno o più individui perversi all’interno di un gruppo, di un’azienda o di un governo perchè tutto quanto il sistema diventi perverso. Se non viene denunciato, tale perversione si diffonde in modo sotterraneo con l’intimidazione,la paura, la manipolazione. Infatti per incatenare psicologicamente qualcuno, basta trascinarlo a dire bugie o ad accettare compromessi che lo renderanno complice del processo perverso. La mafia e i regimi totalitari funzionano proprio così. Nelle famiglie, nelle aziende o negli stati, i perversi narcisisti si sforzano di ascrivere ad altri il disastro di cui sono all’origine, per atteggiarsi a salvatori e prendere così il potere. Per mantenerlo è sufficiente, in seguito, non farsi scrupoli. La storia ci ha insegnato che che ci sono uomini che rifiutano di riconoscere i propri errori, non si assumono le responsabilità, manovrano la falsificazione e manipolano la realtà per cancellare le tracce dei misfatti che hanno compiuto.Al di là della questione individuale della molestia morale, si pongono questioni più generali.
Come ristabilire il rispetto degli individui?
Quali confini fissare alla nostra tolleranza?”

cit pag 218

Entrambe le domande contengono un richiamo al limite.

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