domenica 22 novembre 2009

La quinta passeggiata (J.J.Rousseau )

"Attraverso le vicissitudini di una lunga vita ho notato che i periodi delle gioie più dolci e dei piaceri più vivi non sono tuttavia quelli il cui ricordo mi attiri e mi commuova maggiormente. Quei brevi momenti di delirio e di passione, per quanto possano essere vivi, e proprio per la loro stessa vivacità, sono tuttavia solo dei punti sparsi e radi sulla linea della vita. Sono troppo rari e troppo effimeri per poter costituire uno stato d’animo e la felicità che il mio cuore rimpiange non è certo composta da istanti fuggitivi, è uno stato semplice e permanente che non ha in sé nulla di vivo ma la cui durata ne accresce il fascino al punto da trovarvi, alla fine, la massima felicità.

Tutto sulla terra è in un flusso continuo. Nulla mantiene una forma costante e fissa, e i nostri sentimenti per le cose esteriori passano e cambiano necessariamente come loro. Costantemente, prima o dopo di noi, esse ricordano il passato che non è più o anticipano il futuro che spesso non deve affatto essere: non vi è là nulla di solido a cui il cuore si possa attaccare. Così non abbiamo quaggiù nient’altro che piacere che passa; in quanto alla felicità che dura, dubito che la si conosca. A malapena si trova nei nostri più vivi piaceri un istante in cui il cuore possa veramente dire: Vorrei che questo istante durasse per sempre; come possiamo allora chiamare felicità uno stato fuggevole che ci lascia poi il cuore inquieto e vuoto, che ci fa rimpiangere qualcosa che era, o desiderare qualcosa che sarà?

Ma se esiste uno stato in cui l’animo trova un equilibrio abbastanza stabile per riposarvisi completamente e raccogliere là tutto il suo essere, senza aver bisogno di ricordare il passato né di sconfinare nel futuro, in cui il tempo non conti e il presente duri sempre, senza però lasciar traccia del suo durare né del succedersi, senza nessun altro sentimento di privazione né di godimento, di piacere né di pena, di desiderio né di timore, se non quello della nostra esistenza che, da solo, possa soddisfare completamente l’animo; fin tanto che questo stato dura, colui che vi si trova può chiamarsi felice, non di una felicità imperfetta, povera e relativa, come quella che si trova nei vari piaceri della vita, ma di una felicità bastevole, perfetta e piena, che non lascia nell’animo alcun vuoto che sia necessario colmare. Questo è lo stato in cui spesso mi sono trovato all’isola di Saint-Pierre durante le mie fantasticherie solitarie, ora sdraiato sulla barca che lasciavo andare alla deriva, in balía delle onde, ora seduto sulle rive del lago agitato, ora altrove, sulla sponda di un bel fiume o di un ruscello mormorante tra i ciottoli.

Di cosa si gioisce in una simile situazione? Di nulla di esteriore a sé, di niente se non di sé stessi e della propria esistenza; fin tanto che dura questo stato si è sufficienti a sé stessi come lo è Dio. Il sentimento dell’esistenza spogliato di ogni altro affetto è di per sé un sentimento prezioso di contentezza e di pace cha sarebbe sufficiente da solo a rendere questa esistenza cara e dolce a chi fosse in grado di allontanare da sé tutte le impressioni sensuali e terrestri che vengono continuamente a distrarci e a turbarne, quaggiù, la dolcezza. Ma la maggior parte degli uomini, agitati da continue passioni, poco conosce questo stato d’animo, ed avendolo sperimentato soltanto imperfettamente, per pochi istanti, ne conserva appena un’idea oscura e confusa che non permette di percepirne il fascino."
Jean-Jacques Rousseau: Quinta passeggiata

sabato 14 novembre 2009

Il teatro dei sistemi che osservano

Lo sguardo del passante è distratto dal cartellone

Lo sguardo della comparsa scruta l'attore

Lo sguardo dell'attore fissa l'azione

Lo sguardo dello spettatore è assorbito dalla scena

Lo sguardo del critico rintraccia legami

Lo sguardo del regista ammira lo spettacolo

Lo sguardo del testimone osserva il mutevole sguardo

E l'occhio brilla, meraviglia di caleidoscopiche dimensioni.

giovedì 8 ottobre 2009

Il senso delle parole

Stando alle parole, è sempre possibile dire qualsiasi cosa; e di ogni cosa affermare diversi sensi fino all'inverosimile.
Con le quotidiane scelte di vita, invece,sempre ed inevitabilmente, si intreccia una personale storia di vita, piena di senso.
Così, dietro il gioco di significati delle multiformi parole, si rivela, silente, il senso nascosto.

"Poco prima che fosse assassinato qualcuno gli chiese [ a Gandhi ] quale fosse il messaggio della sua vita. E lui rispose : "La mia vita è il mio messaggio"
T. Terzani, Un altro giro di giostra, Longanesi,2004, pag.574

venerdì 15 agosto 2008

Scuse sincere e ringraziamenti sentiti

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"Poichè la persona narcisista tenta di edificare un senso di sè positivo sull'illusione di non avere nè difetti nè bisogni, teme che l'ammissione di un senso di colpa o di dipendenza tradisca qualcosa di vergognosamente inaccettabile. Scuse sincere e ringraziamenti sentiti saranno quindi rigorosamente evitati o gravemente compromessi nella persona narcisista, con grande impoverimento delle loro relazioni con gli altri."
Nancy Mc Williams : "La diagnosi psicoanalitica", Astrolabio Ubaldini ,1999 su : Labugiapiugrande
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"La vita è sempre oggi e oggi abbiamo bisogno del nostro dolore per fare amicizia con noi stessi, per fare pace con le nostre mancanze e per superare il nostro antico senso di mancanza.

Molte persone credono di aver bisogno di libertà quando sono già libere e rinviano il loro impegno personale nella vita negando che vorrebbero amore e non “libertà” e ignorando il fatto che nella vita adulta l’amore che si riceve non può soddisfare il bisogno non soddisfatto nell’infanzia.
Molte persone sentono di “dover fare” tante cose senza però arrivare mai a capire cosa vogliono davvero fare e cosa possono davvero fare. Continuano a fare “qualcosa” senza impegnarsi a costruire una buona vita, giorno per giorno.
Molte persone passano la vita a convincersi di “essere state ferite” e a “sentirsi ferite” e a “reagire” a tali “ingiustizie”. Chiudono il cuore, la mente e magari anche i genitali pur di non cedere, pur di non dire “mi dispiace” e tornare liberi di dire “grazie”.
In genere le persone non vogliono accettare una cosa semplicissima, cioè che la loro vita è fatta soprattutto di tanti “grazie” e di tanti “mi dispiace”.
Il percorso analitico non cura nessuna malattia, ma aiuta solo a volersi bene, a voler bene e a rinunciare alle pretese e alle illusioni. Aiuta a dire “grazie” e “mi dispiace”. "

G. Ravaglia : "Come farsi del male per non dire semplicemente “grazie” o “mi dispiace” su http://risorse-psicoterapia.org/Gr.md.htm

martedì 12 agosto 2008

La maschera

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Il gioco della maschera

La maschera nasce per mostrarmi all’altro,
nel mondo sociale.
La maschera mi nasconde all’altro, non solo,
ancor più a me stesso.

Che gioco è questo?

Perdere la faccia è l’ultima cosa che vorrei,
nei rapporti sociali.
Ritrovare me stesso è un labirinto senza fine,
se mi chiudo in me stesso.

La maschera non può abbandonare la maschera:
un gioco infernale.
La maschera ora sa di essere maschera:
una strana meraviglia.

venerdì 1 agosto 2008

Terzo senso

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Terzo senso

E’ facile trovare un doppio o triplo senso nelle parole.
Questa scoperta può avvenire in modo tragico , quando ci rendiamo conto, troppo tardi, di non aver soppesato bene il senso ambiguo di quelle parole che ci sembravano una promessa, un’occasione, un buon contratto, una certezza…
Questa scoperta può avvenire in modo creativo, quando ri-scopriamo, ancora una volta, un senso ulteriore, più profondo nel testo poetico che ora a noi, nuovamente, si rivela…
Due contesti molto diversi.
Eppure entrambi sembrano inserirsi entro la cornice linguistica di significato.


5.6 I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo.
Ludwig Wittgenstein

Cosa succede quando si giunge “al limite del mio mondo” ?

La risposta di Wittgenstein è questa:

[6.52] Noi sentiamo che, anche una volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto risposta, i nostri problemi non sono ancora neppur toccati. Certo allora non resta più domanda alcuna; e appunto questa è la risposta.

[6.521] La risoluzione del problema della vita si scorge allo sparir di esso. (Non è forse per questo che uomini cui il senso della vita divenne, dopo lunghi dubbi, chiaro, non seppero poi dire in che consisteva questo senso?)
[6.522] V’è davvero dell’ineffabile. Esso mostra sé, è il mistico.

Egli “sente”, e sente così fortemente da dire “noi sentiamo”, che vi è un “terzo senso” oltre e precedente il mondo linguistico di significato.
E’ questo “terzo senso”, esterno ai “problemi” umani e pertanto ineffabile, che fornisce “la risoluzione del problema della vita”.
La risoluzione “si scorge “ quando scompare il problema; perché essa è fuori dai limiti del mio mondo.
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Lucida follia

Il Macbeth di Shakespeare, nel celebre passo (atto V, scena V) di “lucida follia” scorge il limite:
“Spegniti, spegniti, breve candela! La vita non è altro che un'ombra che cammina; un mediocre attore che si pavoneggia e si dimena sul palcoscenico per il tempo della sua parte e poi non si ode più oltre. È una favola narrata da un idiota, piena di strepito e furia e senza significato alcuno.”
Tuttavia la maschera del potere, rinchiusa nel proprio castello, sente un vuoto, sente di non poter permettersi, non si permette, un diverso sentire .
Non si lascia andare al naturale dolore della perdita di Lady Macbeth :
“Avrebbe dovuto morire più tardi; non sarebbe mancato il momento opportuno per udire una simile parola. Domani, poi domani, poi domani: così, da un giorno all'altro, a piccoli passi, ogni domani striscia via fino all'ultima sillaba del tempo prescritto; e tutti i nostri ieri hanno rischiarato, a degli stolti, la via che conduce alla polvere della morte.”
La lucida follia di Macbeth “deve” mantenere un senso anche di fronte alla perdita totale di senso.
La chiusura tragica non consente altra possibilità: anche la natura, indifferente alle vicende umane, sembra animarsi come macchina bellica e stringere d’assedio il castello.
Il “terzo senso” è stato reciso dalla tragica maschera di potere .
Fino all’ultimo, Macbeth, rifiuta di “sentire” ciò che la maschera non può sentire, un altro senso, estraneo perché totalmente fuori dal suo castello.
MACBETH: Maledetta la lingua che mi dice questo, poiché essa ha fiaccato quanto di meglio v'era d'uomo in me! E non si creda più a questi dèmoni impostori, che ci ingannano con discorsi a doppio senso:
che mantengono all'orecchio nostro la loro promessa, e poi la rompono alla nostra speranza... Io non mi batterò con te.
MACDUFF: Allora arrenditi, codardo, e vivi per essere lo spettacolo e la meraviglia di questa età: attaccheremo il tuo ritratto in cima ad un palo, come si fa dei nostri più rari esseri mostruosi, e sotto ci scriveremo: "Qui potete vedere il tiranno".
MACBETH: Io non mi arrenderò, per baciare la terra ai piedi del giovane Malcolm, e per esser maltrattato dalle imprecazioni della marmaglia. Sebbene il bosco di Birnam sia venuto a Dunsinane, e mi sia di fronte tu, che non sei stato partorito da una donna, pure io tenterò l'ultima prova; io protendo dinanzi a me il mio scudo di guerra: avanti, Macduff, e sia dannato colui, che per il primo grida:
"Fermo, basta!".

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Connessione di base

L’espressione “senso di vuoto” presuppone “un pieno”.
Questo pieno è nel mondo categoriale, nel “mio mondo”, come detto da Wittgenstein.
L’angoscia sottesa nel dramma o nelle tragedie che cercano di affrontare questo “senso di vuoto” viene chiamata “indicibile” in quanto rimanda a qualcosa che è fuori dal “mio mondo”.
La domanda si ripete ed il dramma segue il suo corso perché il tentativo di colmare la “percezione di dis-connessione” , oscura il senso più profondo di questa percezione, di questo ”tornare sul luogo del delitto”, di questa tragedia che si estende, di questa pagliacciata che si ripete…
Una percezione si è chiusa. L’espressione “senso di vuoto” indica e naconde questa chiusura.
Crisi significa separazione.
Crisi significa crescita.

"Nulla v'è di così insensibile, brutale o scatenato dalla rabbia che la musica, finché se ne prolunghi l'eco, non trasormi nella sua stessa natura. Colui che non può contare su alcuna musica dentro di sé, e non si lascia intenerire dall'armonia concorde di suoni dolcemente modulati, è pronto al tradimento, agli inganni e alla rapina: i moti dell'animo suo sono oscuri come la notte, e i suoi affetti tenebrosi come l'Erebo.
Nessuno fidi mai in un uomo simile. "
William Shakespeare Il mercante di Venezia, Atto V, scena I

venerdì 18 luglio 2008

"Avere attenzione"

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"Avere attenzione" si può declinare in due modi:

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"Avere attenzione": avere cura; avere interesse;avere a cuore;avere simpatia/sintonia....


Questo 'avere' è in effetti un 'dare'.


Con l'attenzione l'essere si protende verso l'altro, il mondo.

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"Avere attenzione": richiedere che l'altro, l'intero mondo "gli presti" la sua attenzione.


Qui in effetti non c'è un "avere" ma piuttosto un buco da colmare.


Una pretesa maschera l'essere.

Conclusione: E' logico che chi "non ha attenzione", dica che "vuole avere attenzione"; ma spesso non sa quel che dice.

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